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Il concerto op. 21 di Ernest Chausson


Ernest Chausson (Parigi, 1855-Limay, 1899) è oggi definitivamente uscito da quell’elenco di musicisti meno noti o di secondaria importanza che, per circostanze di ricezione, di fortuna e di capricciosi gusti del pubblico, affiorano tra le pagine della storia della musica.

Chausson stesso, che di queste vicende era consapevole, si è sempre maniacalmente preoccupato della propria posizione di compositore. Vagliando passo dopo passo, con implacabile rigore, l’autenticità e il valore del proprio operato, il compositore francese nutrì per tutta la vita profondi dubbi sulla propria statura professionale, temendo quello stigma di dilettantismo implacabilmente descritto, in quegli stessi anni, da Gustave Flaubert nel romanzo incompiuto Bouvard et Pécuchet.

Nato in una famiglia facoltosa e colta, precocemente sensibile a ogni forma d’arte (ricordiamo qui che il compositore possedeva una ricchissima collezione di opere di pittori francesi e giapponesi), ma approdato alla musica relativamente tardi, Chausson lascia nel suo catalogo solo poche decine di numeri d’opera. Il Concerto per violino, pianoforte e quartetto d’archi op. 21 è da annoverare tra i maggiori capolavori della musica cameristica del tardo Ottocento, tra i monumenti di un linguaggio musicale che di lì a poco si sarebbe infranto contro le innovazioni apportate dai compositori delle nuove generazioni come Satie, Ravel, Debussy.

La gestazione del Concert – che non è da considerarsi un sestetto e nemmeno un pezzo propriamente solistico, per lo spiccato carattere concertante – fu alquanto tormentata e impegnò il compositore per quasi tre anni. I primi abbozzi furono presentati da Chausson al proprio maestro César Franck nel 1889 (il grande compositore scomparirà nel 1890); la corrispondenza permette di farci un’idea molto precisa delle difficoltà che egli incontrò nel portare a termine la composizione. Nel novembre 1890, in una lettera all’amico Henry Lerolle – pittore e collezionista, protettore di Degas, Monet e Renoir, amico di tanti compositori e autore di un quadro nel quale compare lo stesso Chausson – si lamenta che il concerto «non va avanti» («ne marche pas du tout»); il mese successivo si adombra per le pressioni fattegli dall’amico Vincent d’Indy – compositore che condivideva con Chausson la gestione della Société Nationale de Musique – affinché invii parte del manoscritto al grande violinista belga Eugène Ysaÿe, al quale il Concert sarà poi dedicato. Nello stesso anno, ad Ayzac, durante uno dei frequenti periodi di vacanza, Chausson fa ascoltare la Sicilienne (il secondo movimento) a Henry Duparc (oggi nel novero dei più grandi creatori francesi di mélodies), il quale ne è entusiasta. Tuttavia nel giugno del 1891, Chausson scrive ancora a Lerolle pregandolo di augurargli «une bonne fin de Concert», perché ormai la questione gli fa «perdere la testa». «Bisogna aspettare con pazienza – confida in un’altra lettera – smettere di disperarsi e lavorare. Il lavoro, ma è il lavoro manuale di cui avrei bisogno. Spinoza faceva occhiali, Tolstoj s’immaginava calzolaio. La musica non mi dà pace; semmai il contrario».

Nell’autunno del 1891 il compositore intraprende il suo secondo lungo viaggio in Italia; soggiornerà prevalentemente a Roma, dove ascolta la musica di Palestrina dal vivo e si lascia meravigliare nuovamente dalla Cappella Sistina, dal Mosè di Michelangelo, dal Foro Romano. Nel 1892 la vita di Chausson, dal punto di vista creativo e psicologico, conosce una svolta positiva, in parte conseguenza del grande successo che ebbe l’esecuzione delle musiche di scena per la La Legènde de Sainte Cècile. In quello stesso anno il compositore porta a termine il Concerto, la cui prima esecuzione riscuote un grande successo di pubblico e di critica. A partire dallo stesso anno inizia a redigere il suo secondo diario (journal intime) nel quale annoterà alcune delle sue riflessioni più interessanti dal punto di vista estetico e nel quale troviamo – ed è quello che più ci interessa qui – dettagliate informazioni sulle vicende legate alla prima esecuzione del Concerto.

È il 18 febbraio del 1892. Chausson si trova a Bruxelles per assistere alle prove del lavoro finalmente concluso, il cui debutto è previsto per il successivo 26. La difficoltà estrema della parte pianistica aveva spaventato il giovane Paul Litta il quale, a tre settimane dalla prima, riconsegna il manoscritto. D’Indy, consapevole delle conseguenze che tale rinuncia poteva causare sul fragile morale di Chausson, si rivolge a Luis Diémer, celebre professore di pianoforte del Conservatorio di Parigi, il quale proporrà infine il diciassettenne premier prix Auguste Pierret. Il 20 febbraio, due giorni prima dell’inizio delle prove, Chausson affida al diario il proprio dissidio interiore: «sempre lottare, ed essere vinti, così spesso. Come sono lontano dall’essere colui che vorrei essere. È creare se stessi, è là tutto lo sforzo della vita». Il 21 Ysaÿe, il quale inizialmente aveva paventato di declinare l’incarico, accetta di eseguire il Concert in seguito a un’accorata lettera inviatagli da Chausson. Il 22 febbraio alle dieci di mattina la prima prova:

«Tutto funziona a meraviglia. Tutti [gli interpreti] sono amabili e amichevoli, e pieni di talento. Ysaÿe mi sconvolge per la sua comprensione. E trova il concerto molto bello. Ne sono lieto». «Martedì 23 febbraio: ancora tutto il giorno di prove, questa volta con Pierret (che l’anno successivo diventerà allievo di Chausson). Tutti sono entusiasti. Mi sembra prodigiosamente di amare tutti». E il successivo giovedì: «decisamente la riuscita si accentua. Vedo chiaramente che non ci si attendeva nulla di così buono. Sono molto felice». Infine il 26, presso il Gruppo dei XX, cerchia artistica d’avanguardia di Bruxelles, la prima esecuzione: «bisogna credere che la mia musica è fatta soprattutto per i Belgi. […] Tutti hanno l’aria di trovare il Concerto molto bello. Esecuzione molto buona, in certi momenti ammirevole, e sempre molto artistica. Mi sento leggero e gioioso, come non mi sentivo da tempo. Questo mi fa bene, e mi dà coraggio».

Questo entusiasmo e questa ritrovata fiducia saranno fondamentali nella redazione conclusiva di un altro dei grandi capolavori di Chausson, Le Poème de l’Amour et de la Mer op. 19 e nel completamento dell’opera lirica in tre atti Re Artù op. 23, definitivo banco di prova del compositore. Di quest’ultimo importante lavoro Chausson non potrà vedere la realizzazione: com’è noto, il 10 giugno 1899 perse infatti la vita in un tragico incidente in bicicletta.



Decidè


Il primo movimento del Concert ricalca con grande libertà i precetti della forma-sonata. Chausson ne allarga il gioco delle tonalità, plasma a suo piacimento le proporzioni delle sezioni. Ne risulta un movimento di grandi dimensioni con continui colpi di scena, intensificazioni, squarci lirici che certo devono molto, per la loro coesione, al magistero di Cèsar Franck ma anche, per loro inequivocabile immediatezza, a Jules Massenet, il primo maestro di Chausson. Un frammento del primo tema è subito introdotto dal pianoforte. Questo elemento, composto da sole tre note e dal carattere così spiccatamente affermativo, appare come un emblema dell’opera ed è, di fatto, il principio germinale dei temi del Concert. Alcuni ne hanno giustamente individuato l’affinità con le battute iniziali dell’ultimo movimento del quartetto op. 135 di Beethoven. Da questa cellula iniziale scaturisce una straordinaria abbondanza di vicende musicali i cui protagonisti principali sono il violino – al quale è affidato il vero primo tema – e il pianoforte, le cui trame che si mettono in luce nel racconto principale.


Sicilienne


Il secondo movimento doveva in origine essere sottotitolato, analogamente ad una lirica di Chabrier, Île Heureuse (Isola felice), il che forse aiuta a farci un’idea del brano. Il movimento incarna, all’interno dell’opera, un momento di pacificazione. I due elementi melodici affidati al violino scandiscono con studiata malinconia il ritmo di del Siciliano, piacevolmente incantatorio e dal sapore spiccatamente modale. Anche qui, com’era successo nel primo movimento, Chausson sembra essere attratto da procedimenti di amplificazione emotiva, culminanti, nella parte finale del brano, in momento di grande intensità in cui il sestetto è utilizzato come orchestra in miniatura.


Grave


Costituisce il cuore espressivo dell’opera e può essere considerato certamente fra gli adagi più riusciti, per intensità e sapienza costruttiva, del repertorio cameristico di fine secolo. Il Grave, oltre ad essere l’indicazione agogica, immette immediatamente in una situazione narrativa di estrema e tragica intensità. All’angosciato ostinato iniziale del pianoforte, elemento che percorrerà gran parte del brano, è sovrapposto una sorta di lamento, affidato al violino. L’atmosfera che ne consegue è ammantata da una coltre di inesorabilità, pendant musicale di quelle profonde meditazioni che Chausson ha lasciato nei sui diari: confessioni sull’uomo, sull’artista e sul ruolo centrale dell’arte, ed in particolare della musica, nella vita.


Finale - Très animé


I contrasti che si sono così variamente avvicendati e l’accumulo di tensione che ne è finora derivato sembrano precipitare, ma verso una soluzione positiva, nel quarto movimento: come a ritrovare via via quella fiducia che sembrava dissolta nell’oscurità repentina del Grave. Concentrato di vitalità, questo movimento testimonia ancora il tributo che Chausson deve al suo apprendistato con Franck e alle sue idee sulla forma ciclica. Tutti gli elementi melodici sin qui ascoltati si ripresentano, svelando la loro comune parentela, e danno vita a una sorta di grandiosa ricapitolazione che culmina in un altrettanto grandioso finale: sontuosa conclusione di un capolavoro concepito in un’epoca che di lì a poco sarà investita da un rinnovamento profondo del pensiero musicale.


Leonardo Zunica


testo del libretto del CD DAVINCI CLASSICS

Artist(s): Boito Quartet, Leonardo Zunica, piano; Paolo Ghidoni, violin

Composer: Ernest Chausson

EAN Code: 0746160911205

https://davinci-edition.com/product/c00290/

 


immagine

Camille Corot

Trouville. Bateau échoué,

detto Bateau de pêche à marée basse

circa 1830-1840

opera facente parte della collezione personale di E. Chausson



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