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Les Pantins Dansent


Tra le poesie di Valentine Saint-Point, Satie aveva dunque scelto, come ho già accennato, una “poesia d’atmosfera”, classificata poi come “poesia ironica”, Les pantins dansent. Delle poesie di Valentine de Saint - point, il futurista Marinetti, pur amico della poetessa, ha dato un giudizio decisamente negativo: secondo lui esprimono una “vecchia sensibilità”, sono crepuscolari, “passatiste”. E’ possibile che Satie fosse dello stesso parere: sembra provarlo il fatto che la sua partitura - la cui durata non ha rapporto, essendo molto più breve, con la lunghezza della poesia che dovrebbe evocare - sembra tradurre in suoni, anziché il contenuto in versi, soltanto il titolo, svuotandolo così di ogni implicazione simbolista e stravolgendone di conseguenza, il significato. La poesia di Valentine de Saint - Point, Les pantins dansent, descrive la solitudine del poeta, l’unico consapevole del senso tragico della vita e della morte, nell’inutile chiasso di un mondo di burattini che si agitano inconsideratamente.

Il burattino, - non in quanto simbolo della condizione umana, ma proprio come oggetto inanimato, suscettibile di animarsi - ha sempre interessato Erik Satie. Pezzi in forma di pera, embrioni secchi di improbabili animali marini, scimmie meccaniche, “ma imbalsamate da ma mano maestra”, pullulano nel suo repertorio di “descrizioni automatiche” e di “danze corazzate”.

Anche quando le sue opere non suggeriscono esplicitamente l’idea di un’animazione artificiale, sono gli artisti che vi collaborano a preoccuparsi di visualizzare, vedi i giganteschi “managers” di cartapesta e i simulacri lignei in movimento concepiti da Picasso rispettivamente per Parade o per Mercure, o la silhouette mècanique simultanée costruita da Vilmos Hurszàr per accompagnare il Rag time di Parade in una manifestazione di De stijl, senza parlare delle marionette con cui tanti hanno rappresentato Geneviève de Brabant, né del “pantin” immaginato da Andrè Derain per il suo Jack in the Box. Non a caso Satie opera nello stesso momento in cui fanno la loro comparsa i manichini di De Chirico e i ready-made di Dechamps. Come predetto da Lautremont, sulla tavola operatoria dell’arte di quegli anni, non si registrano altro che incontri “ tra le macchina da cucire ed un ombrello”.


Satie era talmente entrato in questa logica da realizzare nella sua stessa persona l’ideale del dandy espresso da Lord Brummel: elevarsi al rango di una cosa. Pertanto sempre lo stesso vestito, eccentrico per un eccesso di convenzionalità (bombetta, faux-col e pince-nez), comportandosi in modo anche eccessivamente formale (sulla scia del giudizio di Valentine de Saint-Point, si è parlato di “conformismo ironico”), scrivendo con una grafia inamidata che tende all’inalterabilità del carattere di stampa, Satie è riuscito a fare del suo personaggio una maschera - una maschera così rappresentativa della commedia dell’arte del nostro tempo che René Clair, dopo aver ripreso dal vivo il nostro compositore poco prima della sua scomparsa, ha poi tenuto ad includere un personaggio che lo ricordasse in quasi tutti i suoi film che ha girato poi, e che - unico nella musica contemporanea, ma forse anche nella storia della musica tout-court - una marionetta “Erik Satie” figura nel repertorio di diverse compagnie di attori di legno.

Eliminando nella poesia di Valentine de Soint-Point tutto quel che gli era estraneo - praticamente la poesia tutta intera, per conservarne solo il titolo (che in uno studio preliminare risulta ancora ridotto alle due sole prima parole, Les pantins), Satie ci offre una vera e propria danza di burattini, una danza magra, disincarnata, un po’ lugubre, che sembra venirci da un pianeta lontano, e che dura - non senza ever l’aria di incepparsi, di tanto in tanto - quanto la carica di un giocattolo meccanico per poi finire ad arrestarsi, a un dato momento, di colpo.

Poiché in Satie niente è semplice, osserveremo però che il compositore utilizzerà un analogo procedimento - l’arresto brusco di un meccanismo che coinciderà con il finale dell’opera, nel “dramma sinfonico” di ben altro respiro, Socrate (1916-1918), per registrare l’ultimo battito del cuore, alla morte del filosofo.


Les pantins dansent

Je mourrai, un jour de fête,

Alors que les pantins dansent.

Je n'entre pas dans leur danse,

Je ne fête pas leurs fête.

Je mourrai, un jour de fête,

Alors que les pantins dansent.

Alors qu'ils crient et qu'ils hurlent

Tous, une gaieté prescrite,

Rien je ne crie ni ne hurle,

Même une vertu proscrite.

Et leur vacarme est si faux

Que je ne puis m'écouter.

Dans un factice, si faux,

Vie ne se peut écouter.

Mon silence, mort au bruit,

Silence pour quoi je vis,

Cela seul par quoi je vis,

Mon silence, mort au bruit.

Ma solitude est si lourde,

Amertume inguérissable!

Solitude riche et lourde,

Solitude inguérissable!

Je mourrai, un jour de fête,

Alors que les pantins dansent.

Je n'entre pas dans leur danse,

Je ne fête pas leurs fêtes.

Je mourrai, un jour de fête,

Alors que les pantins dansent.



Il testo è tratto dal volume

Verso la modernità, Canuto Apolllinaire, Picasso, Satie

Atti del Convegno Internazionale di Monopoli

1-2 Maggio 1994

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