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Difesa di Satie


Una caratteristica saliente dell’arte contemporanea è il fatto che ogni artista lavora come meglio crede e indipendentemente dalle procedure largamente stabilite. Dal punto di vista dei moderni clichès di pensiero, non è esattamente chiaro se questo stato delle cose a noi piaccia o no.

Da una parte ci lamentiamo dell’abisso instauratosi tra l’artista e la società, tra artista e artista, e lodiamo (un po’ come bambini che guardino un dolcetto in una vetrina senza poterlo comprare) l’unanimità d’opinione che si leva da una cattedrale gotica, da un opera di Mozart, o da una combinazione di musica e danze balinesi. Tra di noi lamentiamo l’assenza di tali opere convincenti, e diamo la colpa al fatto che non abbiamo un modo tradizionale di fare le cose. Ammiriamo da una solitaria distanza quell’arte che non è privata ma è caratteristica di un gruppo di persone e il fatto che quelle persone siano in accordo.

D’altra parte, ammiriamo un artista per la sua originalità e indipendenza di pensiero, e ci dispiace quando egli sia troppo evidentemente imitativo del lavoro di un altro artista. Nell’ammirare l’originalità, ci sentiamo come a casa. Questa è una delle qualità dell’arte che ci sentiamo giustamente di ottenere. Di conseguenza diciamo cose di questo genere: ognuno non solo ha ma dovrebbe avere il proprio modo di fare le cose. L’arte è una questione individuale. Arriviamo al punto di dare credito all’opinione che uno speciale tipo d’arte risulti da uno speciale schema nevrotico di un particolare artista. A questo punto impallidiamo e, barcollanti, usciamo dal nostro appartamento e bussiamo alla porta di qualche psicoanalista del quartiere. Oppure ce ne stiamo a casa, coccolando le nostre divergenze accrescendo il senso di solitudine ed insoddisfazione con l’arte contemporanea.

Nel campo della musica, esprimiamo questa insoddisfazione in varie maniere. Diciamo: la musica è interessante, ma non la capisco. Qualcosa non è “completo”. Non ha “la linea lunga” (the long line).

Alla fine ce ne andiamo separatamente per i nostri sentieri: qualcuno di noi ritorna al lavoro per scrivere musica della quale in pochi sanno che farsene, altri che trascorrono le loro vite con musica di altre epoche che, senza tanti giri di parole, cronologicamente non gli appartengono.

Ora vorrei cercare di rispondere alle domande: su quali tipi di cose in arte (la musica in particolare) ci si può trovare in accordo? Su quali tipi di cose non si può concordare? Poiché sospetto che la nostra ammirazione per due posizioni opposte, quella dell’artista tradizionale e quella dell’artista originale, indica un nostro bisogno fondamentale per questa coppia di opposti. Abbiamo bisogno, immagino, di un’arte paradossale che esprima sia l’unanimità di pensiero che l’originalità di pensiero.

La musica è una continuità di suono. Al fine di essere distinguibile dal nulla deve avere una struttura: cioè deve avere delle parti che siano chiaramente separate me che interagiscono in modo tale da creare un tutto. Per fare in modo che questo tutto abbia la qualità di un essere vivente, occorre dargli una forma. La forma in musica è la linea morfologica del suono-continuità. Per illustrare questa differenza tra struttura e forma, che inizialmente potrebbe sembrare un’arbitraria serie di definizioni, lasciatemi sottolineare il fatto che molti poeti usano la struttura del sonetto per creare parola-continuità; ogni sonetto, in qualunque modo, ha la propria linea della vita e della morte, che è, nella sua forma, la propria caratteristica. O per dare un’altro esempio, tutti noi abbiamo in comune la nostra struttura di esseri umani, ma il modo in cui viviamo, cioè la forma della nostra vita, è individuale. La continuità delle azioni per ciascuno di noi è diversa.

Accanto alla propria struttura e forma, un pezzo di musica deve avere un metodo; cioè una continuità che produca senso. In poesia questa è la sintassi; nella vita è l’osservanza di un modo ordinario di vivere, in larga misura affidabile. Ad un livello primario, il metodo nella vita è semplicemente dormire, mangiare, e lavorare in un certo periodo piuttosto che in un altro. Il metodo nella vita è sistematico.

Un pezzo di musica non solo ha struttura, forma, e metodo, ma anche un materiale, il suo proprio suono. In poesia, per continuare l’analogia, è la lingua. Ci sono differenze di materiale linguistico tra un Hopkins e uno Shakespeare, sebbene entrambi scrivano in inglese. Le differenze di materiale il francese e inglese o altre lingue è ovvio. Nella vita, abbiamo differenze fisiche e indossiamo vestiti differenti.

Ora, dal mio punto di vista, nella vita non ci farebbe piacere se tutti vestissimo allo stesso modo. Anche un singolo individuo gode del fatto di vestire diversamente un giorno dall’altro. Nello stesso modo in poesia, le differenze di linguaggio non sono solo ammirevoli, ma anche rigeneranti. Ci sentiremmo imposti nell’indossare solo marche A e B, e non ci piacerebbero le poesie in un inglese standard o in Esperanto. Nel campo del materiale, noi sentiamo il bisogno di essere ravvivati dalla differenziazione. Direi, proseguendo, che non possiamo e non dobbiamo essere d’accordo in questione di materiale.

Proseguendo oltre, chiediamoci quale intesa sia naturale e desiderabile nel campo del metodo. In poesia, sono conosciute differenze di sintassi da un linguaggio ad un altro; all’interno di un data lingua, vi sono meno carenze d’intesa. Comunque, l’avvento nella nostra epoca di un Joyce, di una Stein, di un Cummings, o di un Hopkins è possibile solo a causa delle variazioni della normale sintassi. Buckminster Fuller propone un nuovo stile di vita. Gli antropologi ci rivelano che ci sono molti modi di vivere, e che l’univocità in questo campo non è supportata dalla storia. La gente vive e ha vissuto in modi differenti, ed è una delle cose interessanti delle persone.

Veniamo ora alla questione della forma, la linea-vita di una poesia o di un individuo. Parlando tutt'insieme vagamente, romanticamente, fisiologicamente e medicalmente, questa, ovviamente, deriva in entrambi i casi a dal sentire e da quell’area che definiamo come cuore, e nessun esempio deve essere dato nel rendere chiaro che campo della forma siano necessarie sia l’individualità che l’aderenza alla tradizione. E' chiaro che copiare il più esattamente possibile la linea-vita di qualcuno e tutti i suoi dettagli emozionali non è possibile. La questione è esasperante ma fortunatamente non abbiamo bisogno di pensarci.

Ci manca ora la questione della struttura, e qui è ugualmente assurdo immaginare un essere umano che non abbia la struttura di un essere umano, o un sonetto che non abbia relazioni con le parti che costituiscono un sonetto. Ci possono essere certamente più cani, nella vita, che esseri umani, come in poesia ci possono essere più odi che sonetti. Ma in ogni caso, come condizione sine qua non in tutti i campi della vita e dell’arte, ci deve essere un certo tipo di struttura - altrimenti sarebbe caos. Il punto qui è che proprio in questo aspetto dell’essere è desiderabile avere ripetitività e accordo. La ripetitività è il campo del rassicurante. Noi definiamo quella cosa che diverga dalla ripetitività della struttura come mostruosa.

In questi termini, veniamo alla musica contemporanea. Per iniziare, sappiamo che la musica contemporanea è caratterizzata dal fatto che ogni compositore opera come come individuo e nove volte su dieci non è d’accordo con nessun’altro artista. Che tipo di idee ha sviluppato la musica del Ventesimo Secolo? Ci sono idee che possano e debbano essere concordate?

Nuovi materiali sono stati proposti: i quarti di tono da Alois Hàba, i quaranta-treesimi di tono da Harry Partch, strumenti elettronici da Edgard Varèse, viti, cinture, e pezzi di gomma da me stesso, dissonanze di ogni sorta e delle più varie. La nostra risposta a questo è: bene, le abitudini più diverse sono, meglio è. La varietà è il pepe della vita. Comunque, non dobbiamo prendere innovazioni di questo tipo troppo seriamente, come qualcuno ci ha detto di fare.

Nuovi metodi sono stati proposti attraverso costanti invenzioni, la serie dodecafonica o il controllo degli intervalli di seconda. Così come accettiamo le differenze sintattiche da un linguaggio ad un altro, o i diversi costumi della gente, così possiamo accettare questi diversi metodi di composizione. Lo stesso vale per la forma, la cui stessa natura è che si siano molte varietà di essa. Potremmo riconoscere forse una nuova consapevolezza contemporanea della forma: nel carattere è più statica, che progressiva. Ma questo è una questione del sentire individuale. Ciò che è innaturale nel grande riforma della musica contemporanea, nel neoclassicismo in particolare, è che non è se stessa; non è diretta ed istantaneamente sentita nella forma, ma deriva da quei modelli del passato che il compositore sceglie.

Nel campo della struttura, il campo della definizione delle parti e la loro relazione con il tutto, vi è stata solo una nuova idea da Beethoven in poi. E questa nuova idea può essere percepita nelle opere di Anton Webern ed Erik Satie. Con Beethoven le parti di una composizione erano definite attraverso l’armonia. Con Satie e Webern sono definite per mezzo delle durate. La questione della struttura è così fondamentale ed è talmente importante trovare a riguardo un accordo che ci si deve chiedere: aveva ragione Beethoven od hanno ragione Webern e Satie?

Rispondo immediatamente e inequivocabilmente, Beethoven era in errore e la sua influenza, che è stata tanto estesa quando spiacevole, ha alienato l’arte della musica.

Ora su quale base posso pronunciare tale eresia?

E’ molto semplice. Se considerate che il suono è caratterizzato dalla sua altezza, la sua intensità, il suo timbro, e dalla sua durata, e che il silenzio, che ne è l’opposto e, pertanto, il partner necessario del suono, è caratterizzato solo alla sua durata, potete giungere alla conclusione che delle quattro caratteristiche del materiale musicale, la durata, cioè la lunghezza temporale, è la più fondamentale. Il silenzio non può essere ascoltato in termini di altezza o armonia: è ascoltato in termini di durata temporale. E’ toccato a Satie e Webern di riscoprire questa verità musicale, che, attraverso la musicologia, sappiamo era evidente ad alcuni musicisti nel nostro Medioevo, ed a tutti i musicisti di ogni tempo (eccetto quelli attualmente coinvolti in un processo di deterioramento) in Oriente.

Beethoven rappresenta l’ondeggiamento più evidente della barca dal suo naturale assetto. La derivazione del pensiero musicale dalle sue procedure è servita non solo a metterci alla mercè delle onde, ma in pratica a far naufragare l’arte sull’isola della decadenza. L’altra notte, in una discussione, volevo concedermi alla considerazione che ci possono essere diverse dimostrazioni fisiche dei principi strutturali. Oggi non sarò così pacifico. Non ci può essere un giusto modo di fare musica che non si strutturi dalle vere radici del suono e durate-silenzio del tempo. In India la struttura ritmica è chiamata Tala. Da noi, sfortunatamente, è chiamata una nuova idea. Come Webern e Satie se la procurano è la nostra prossima domanda.

Il fondamento tonale dell’ artificio armonico di Beethoven si è disintegrato nell’arco di 50-75 anni, fino a portare in essere il concetto di atonalità. Questa, nel suo diniego del significato dell’armonia, richiede nuovi mezzi strutturali, o, diciamo, veri mezzi strutturali. Schoenberg non procura alcun mezzo strutturale, solo un metodo - il sistema delle dodici note - il cui carattere non-strutturale ha forzato il suo inventore e suoi seguaci a procedere per passi negativi: egli ha sempre evitato quelle combinazioni di suono che potessero riferire troppo banalmente alla armonia ed alla tonalità. Satie e Webern sono andati più in profondità ed hanno capito l’esatta natura del problema dell’atonalità, che è: come può essere data alla musica una struttura se non attraverso le sue relazioni tonali? La loro risposta: per mezzo delle durate.

Oggi sentiamo due serie di brani, uno di Webern per violoncello e pianoforte ed uno di Satie per violino e pianoforte, entrambi scritti nel 1914, un a Vienna e l’altro a Parigi. Dopo avere sentito la mia tesi secondo cui essi mostrano lo stesso principio strutturale, sarete sorpresi di trovarli così differenti nel suono. I pezzi di Webern sono estremamente brevi, simili in estensione ai corali di Satie.

La brevità è una caratteristica essenziale nello stabilire un principio. Il seme non ha l’estensione di un organismo maturo. Su questo punto lasciatemi citare Paul Klee:


E’ una cosa molto difficile ed una grande necessità dover iniziare con il più piccolo. Ebbene voglio essere come un nuovo nato, che non conosce nulla, assolutamente nulla, dell’ Europa; ignaro dei poeti e delle mode, essere quasi primitivo. Voglio dunque fare qualcosa di molto modesto; trovare da me un sottile motivo formale, tale che la mia matita sia capace di tenerlo senza tecnica. Un momento favorevole è sufficiente. La piccola cosa è facilmente e concisamente messa giù. E’ già fatta! Era una piccola cosa, ma reale, e un giorno, attraverso la ripetizione di quelle piccole azioni, verrà fuori un opera sulla quale possa veramente costruire.


Oltre la brevità e la umiltà espressiva che Webern e Satie hanno in comune (così come Schoenberg e Stravinsky, i compositori del nostro tempo ai quali ordinariamente si danno gli allori che ora vorrei conferire a qualcun’altro, hanno durata e notevolezza in comune), e, oltre il loro comuni mezzi strutturali, hanno poco che li connette.

I suoni di Webern sono multicolore. La sua forma è statica e frammentaria. Il suo metodo è una continua invenzione. I suoni di Satie sono, più spesso che no, relativamente banali. La sua forma, come quella di Webern, è statica, ma non è intenzionata ad avere alcuna implicazione di tipo extra-musicale. Così come Klee voleva disegnare persone e piante ed animali, così la continuità in Satie viene con canzoni popolari, clichés musicali, e assurdità di ogni tipo; non si vergogna di accoglierli nella casa che costruisce: la sua struttura è forte. Il suo metodo varia da un periodo all’altro. Ed era in quella ricerca di un metodo che egli studiò contrappunto, appena dopo che Webern adottò la sintassi dodecafonica di Schoenberg. Non vi era alcuna scuola che potesse insegnare loro ciò che già conoscevano: la struttura della musica.

Prima di scrivere una composizione Beethoven ne pianificava i movimenti da una tonalità all’altra - cioè pianificava la sua struttura armonica. Prima di scrivere un pezzo Satie pianificava la lunghezza delle sue frasi. Questa sera ascolteremo per prima cosa Choses vues à droite et à gauche (sans lunettes). Contengono un Choral hypocrite, Fugue à tâtons, Fantaisie musculaire. Il corale ha un struttura di 5 di frasi di due battute in successione. La struttura ritimica della fuga è come segue: un soggetto e una risposta di 8 battute ciascuno, un episodio di 9 battute (una in più rispetto a 8), una riapparizione del soggetto (8 battute), un episodio di 10 battute (1 in più rispetto a 9, che ora 1 in più rispetto ad 8), una terza riapparizione del soggetto (8 battute), un episodio di 14 battute (3 in più rispetto alle 11 che si ci aspettava), ancora il soggetto (8 battute) un episodio di 3 battute (il numero indicato dalla differenza tra 14 e 11), uno stretto di una battuta, che rende così l’apparizione canonica del soggetto in 9 battute anziché in 8, e una coda di 9 battute, che, ora, visto lo stretto di 9, ha il significato di risolvere in due modi la relazione numerica tra i numeri caratteristici del soggetto (8 e 9) e i numeri caratteristici dell’episodio: 9,10,11,14 e 14 - 11 = 3 (primo modo: 3 è la parte semplice di 9; secondo modo: 9 [8 è diventato 9] è 9. La Fantaisie musculaire ha una struttura che è giocata attorno ai numeri 4 e 2 e 3 nei seguenti modi: tre 4* sono seguiti da un 2, quattro 4 sono seguiti da due 3; una cadenza umoristica è seguita da un 4 e da un 1, e un 3, seguito anch’esso da un 1, serve per concludere il pezzo.

Per concludere: le mie risposte alle domande iniziali (Su quali tipi di cose si puo’ e si deve concordare? e Su quali tipi di cose non si può e non si deve concordare?) sono: la struttura può e deve essere concordata, e la struttura sottostante della musica è di natura ritmica. Sulla forma non si può e non si deve concordare: è puro ambito del cuore. In Oriente, questa è sempre raggiunta attraverso l’improvvisazione all’interno della struttura ritmica, che detta legge. Sul metodo e sui materiali si può e non si può concordare, ed è indifferente che lo sia o no.

La funzione di un brano musicale e, nei fatti, il significato finale della musica può essere ora suggerito: è quella di far coesistere elementi paradossali in modo naturale, di portare in una situazione unitaria elementi sui quali si possa e si deve concordare - cioè elementi fondamentali (Law elements) - insieme a elementi sui quali non si può e non si deve concordare - che sono elementi di libertà - questi due ornati da altri elementi, che possono reciprocamente prestare supporto ai due elementi fondamentali e opposti, il tutto formando una entità organica.

La musica costituisce poi una problematica parallela a quella dell’integrazione della personalità: il che vale a dire, in termini di moderna psicologia, la coesistenza di conscio e inconscio, Legge e Libertà, in un mondo dominato dal casuale (random world situation). La buona musica può servire da guida al buon vivere. E’ interessante notare che la struttura armonica della musica si sviluppa parallelamente al materialismo occidentale, si disintegra nel momento stesso in cui il materialismo viene messo in discussione, e che la soluzione per strutture ritmiche, tradizionali dell’Oriente, ci è arrivata non appena abbiamo avvertito profondadmente il bisogno di quell’altra tradizione proveniente da Oriente: pace mentale, conoscenza di sè stessi.


(traduzione di L. Zunica)


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